Giacomo Leopardi fu sempre piuttosto scettico riguardo all'idea delle nuove invenzioni che potessero aiutare materialmente l'uomo. Nonostante l'illuminismo e la prima rivoluzione industriale avessero fomentato questa fiducia nel progresso e nella ragione dell'uomo, Leopardi ha sempre pensato che l'infelicità umana non derivasse dalla mancanza di strumenti materiali, bensì dai veri limiti connaturati nella natura umana, quali vecchiaia, malattia..
Nello Zibaldone espone questo punto di vista nel testo intitolato "Cosa penseranno di noi i nostri posteri?", nel quale immagina il futuro e le possibili invenzioni nell'ambito della navigazione, della comunicazione, delle tecnologie digitali. L'autore riflette sul fatto che questi posteri si domanderanno come facessero i loro antenati senza questi strumenti di cui essi dispongono, così come i suoi contemporanei si chiedono come vivessero i loro predecessori; ma Leopardi spiega: "Eppure noi non sentiamo, non ci accorgiamo di questa tanta impossibilità o difficoltà di vivere che ci verrà attribuita; ci par di fare una vita assai comoda, di comunicare insieme assai facilmente e speditamente, di abbondar di piaceri e di comodità."
La morale dell'autore è dunque la ridicolezza del ragionare in questo modo proprio degli uomini, dal momento che il progresso e la qualità della vita umana non si possono misurare alla luce delle invenzioni che la rendono più comoda, proprio perché noi non possiamo vestirci dei panni di un nostro antenato senza saperci spogliare dei nostri.
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